“Voglio dire, se diamo a uno scimpanzé una banana e una bandiera lo rendiamo forse un cittadino greco?"
Da un'intervista del 2012 al leader del movimento nazionalpopolare 'Alba Dorata', ex parlamentare della Camera dei deputati di Atene.
Lo "scimpanzé" in questione è Giannis Antetokounmpo, cestista di origini nigeriane, selezionato quindicesima scelta assoluta al Draft NBA nel 2013. Attualmente miglior marcatore della storia dei Milwaukee Bucks.
Considerato uno dei giocatori di basket più dominanti della lega statunitense e una delle più straordinarie "ali grandi" di sempre. Uno di quei fenomeni che nascono una volta ogni trent'anni.
Giannis è il secondogenito di quattro figli.
Nel 2009 ha solo 15 anni quando durante la crisi finanziaria, si ritrova con i genitori e i fratelli in mezzo a una strada di Sepoya, periferia a nord di Atene. Molto a nord.
Se ne vanno in giro per le vie della Capitale con un frigo che scorre su uno skateboard e due valigie in sei.
È tutto quello che gli resta.
Non è esattamente ciò che aveva in testa Chris, il papà di Giannis, quando diciotto anni prima decide di affrontare la traversata per l'Europa insieme alla giovane moglie Veronica.
Chris nel lontano 1991 è un promettente calciatore e tenta il tutto per tutto in Germania dove, infatti, è subito reclutato dalla Serie B, poco prima di restare vittima di un irreversibile infortunio al ginocchio.
È così che i coniugi Antetokoumnpo si spostano in Grecia, ad Atene, senza documenti, senza lavoro, senza un piano e senza un tetto. Cominciano a inventarsi le giornate: una alla volta e poi tutte insieme,
le monetine, per un'idea di cena, di stanza, di vita.
No, dico, avete presente i "vucumprá" che vogliono venderci i fazzoletti?
Ecco, loro.
Per i figli scelgono quattro nomi su quattro di origine greca: un gesto di buon augurio per il futuro in un Paese bellissimo che li assorbe ma non li assimila. Accidenti. Quegli africani le tornano su come un pasto pesante, come un esubero di calorie a sua Maestà la dea che ha mangiato già troppo.
E infatti, per venti lunghi anni, Chris, Veronica, Tanasis, Giannis, Kostas e Alex
molto semplicemente
per lo Stato greco
non esistono.
Fanno parte del mondo sommerso che brulica dentro il ventre convulso dell'Unione Europea mentre l'Unione Europea è più impegnata a riemergere che a digerire.
E non è che non ci si voglia integrare. Diteglielo un po'!
La famiglia Antetokoumnpo si cambia addirittura il cognome nello strenuo tentativo di farsi riconoscere: grecizzano il natio Adetokunbo, che in nigeriano significa "il figlio del re che torna alle sue origini".
Giannis lo sa bene a quali origini tornare…perché lui è originario di quel versante dell'Olimpo dove risiedono gli atleti fenomenali che sanno per cosa, come, quando e quanto lottare.
Vabè, magari, agli esordi esordi, non lo sanno tanto bene, ammettiamolo... però Cristo, se lottano lo stesso.
E Giannis lotta perché vuole una storia diversa, la vuole riscrivere con dei punti su un tabellone, con su una maglia, con su degli sponsor, con su dei tifosi.
E Giannis lotta, come suo padre Chris, che non ha di che sfamare i suoi figli, ma sa resistere e sa come educarli.
A vincere e a perdere, anche tutto, però mai la dignità.
E Giannis lotta con quello che ha: un pallone rimediato in giro e un solo paio di scarpe per due, per lui e per il fratello Tanasis.
Che poi a dire il vero, i due ragazzi preferiscono il calcio alla palla a spicchi. Vogliono fare quello che non è riuscito a fare il padre anni prima.
Ma alla fine è giocando tra i canestri del campetto del quartiere che Giannis viene notato da Velimiatis, un noto coach del miglior basket ellenico.
"Ricordo di aver avuto una sorta di illuminazione, c'era qualcosa in quel ragazzino che, vi giuro, non avevo mai visto prima. È stato un istante, e ho capito: ho capito dove sarebbe arrivato Giannis Antetokounmpo".
Questo racconta il coach che quel pomeriggio si era andato a fare un giro ai margini della polis: del resto si sa che le forze di volontà giovani e centripete hanno più fame di tutti. In tutti i sensi.
Giannis è apolide, né nigeriano né greco, ha il sangue immigrato, spiegano all'allenatore i genitori del ragazzo: è del gruppo sanguigno clandestino, zero tolleranza, irregolare dalla nascita.
Ma non importa, sostiene Velimiatis che, se proprio vogliamo parlare di sangue, è a favore delle "trasfusioni"... Infatti, offre dei soldi alla famiglia del ragazzo e lo inserisce nella sua squadra. No matter what.
Che Giannis sia bravo da subito in campo? Non è vero. Il gioco di Giannis fa acqua da tutte le parti tranne che dalla parte della determinazione.
È denutrito, maldestro, scoordinato, inciampa, cade sulle sue mani grandi, tra le sue circonferenze piccole, ha una meccanica di tiro ancora troppo meccanica.
Il suo corpo è un ammasso di pasta informe, di calcestruzzo da stendere, di marmo rigido da scolpire per modellare quella materia atomica di muscoli e ossa,
quei pezzi di uomo ancora incerti nei movimenti, nei palleggi, nei passaggi, nei rimbalzi. Combina un disastro dopo l'altro, incasella sbagli su sbagli, colleziona imperdonabili micro fallimenti continui
eppure, non vuole mollare,
“Giannis è uno di quelli che non mollerà mai un cazzo signore e signori”, così lo difende il coach. "Lasciatelo crescere, vi dico, lasciatelo crescere!". E Giannis cresce: 211 centimetri di altezza per 223 centimetri di apertura alare. E vola in serie A2. E vola sempre meglio.
E comincia a fare i numeri, nonostante
spesso e non volentieri si ritrovi a dormire in palestra: non ha neanche i soldi per il bus che lo riporta a casa la sera.
Ora, fermi tutti: immaginate cosa può voler dire per uno che non ha un euro per un biglietto ricevere un'offerta da 325 mila euro da una squadra. Nel caso specifico il Saragozza, più che rispettabile team iberico.
Immaginato?
Ecco.
Però coach Velimiatis dice: "aspetta, primo perché non hai i documenti per spostarti in Spagna e secondo perché la settimana prossima arrivano quelli dell'NBA".
E Giannis aspetta.
L'NBA arriva:
"You were right man! This guy has got what it takes!". Il ragazzo ha tutto quello che serve.
Ad esempio, ai Milwaukee Bucks, storica super squadra statunitense un po' sottotono ma che passerà nel giro di poco tempo nelle mani di un grande imprenditore risoluto nel risollevarne le sorti.
E sono sorti non facili per Giannis che finalmente ottiene la cittadinanza greca e il visto statunitense, è il 9 maggio del 2013, ma viene da subito criticato dai vertici. Cito testuali parole: “è troppo emotivo, piange, si dispera e fa troppi errori. Che cosa avete acquistato?! È un dilettante, una giraffa!".
Un giorno Giannis va in un negozio di Money transfer e invia tutto l'intero primo stipendio alla famiglia, e quando dico intero, intendo intero... arriva tardi alla convocazione perché è rimasto senza un soldo e deve percorrere a piedi il tragitto. "Ma che cazzo ti salta in mente ragazzo?!"
La famiglia prima di tutto, sir.
E Giannis è solo al mondo, come tutti noi, ma con la sua famiglia e la sua grinta dentro.
Nel giro di pochi mesi straccia tutti i record possibili, scala la classifica dei canestri, traina il suo team verso il podio della lega, schiaccia tutto ciò che si può schiacciare, vince tutto ciò che si può vincere, è divino in campo, è divina la sua visione di gioco. Vede più lontano di tutti, prima di tutti, meglio di tutti.
Gli americani lo iniziano a chiamare "the greek freak", il greco bizzarro.
O anche "the alphabet human", l’alfabeto umano.
Perché così è più semplice menzionarlo, del resto, il suo cognome è troppo complicato e lo sappiamo quanto sia più smart semplificare.
Beh, questo greco bizzarro, questo alfabeto umano, diventa in breve una leggenda dello sport mondiale alla stregua dei suoi miti d'infanzia, tipo Koby Bryant, tipo Michal Jordan, tipo Giannis Antetokounmpo, che signor Nikolaos, no. Non è uno scimpanzé.
Dio solo sa se questo è un uomo.
Il papà Chris muore a soli 54 anni, troppo presto, ma in tempo per vedere il figlio decollare negli States.
Ogni volta che segna un canestro, Giannis continua a correre. Guarda in alto, oltre il perimetro ovale dello stadio e continua a correre. Sa che ha segnato per tutti quelli che hanno riscritto la storia, che hanno riscritto il loro destino
e continua a correre.
Segna per tutti i neri che sono stati oppressi, vessati, umiliati, sfruttati e continua a correre. Segna per i suoi tre fratelli e per la madre, tutti uniti in una chiave di volta, un giorno alla volta, un canestro alla volta per un’idea di scelta, di vittoria, di vita
e continua a correre.
Segna per il padre, che non ha più battiti se non in quelli forti del figlio.
E continua a correre.
E continua a correre.