Ce l'aveva quasi fatta Saman Abbas, diciotto anni appena, originaria del Pakistan, in cerca di più luce come un girasole, trapiantata in provincia di Reggio Emilia dal 2016: un bel po' di cuore in esubero, l'animo ribelle, dello sconvolgente coraggio.
Le mancavano solo dei documenti e il suo passaporto, poi avrebbe preso un aereo e sarebbe rimpatriata con il ragazzo che amava, il connazionale Ayub Saqib, per sposarlo, finalmente.
C'era già il vestito tradizionale pronto per le loro nozze, con tutti quei drappi e i ricami e le falde ampie della gonna, piene di colori del futuro come lo volevano loro, libero.
"Io voglio studiare", "io non voglio indossare il velo", "io voglio essere chi voglio io", "io non voglio sposare quell'uomo".
Troppi "voglio" per i gusti della sua famiglia, dalla quale Saman era stata allontanata dalle autorità proprio un anno prima del suo omicidio, dopo che lei stessa ne aveva denunciato i maltrattamenti e l'induzione ad un matrimonio forzato con un cugino di dieci anni più grande.
Assegnata ad una struttura di Bologna, la giovane aveva iniziato un'altra vita, la sua.
"Non è importante ciò che gli altri hanno fatto di noi, ma ciò che facciamo con ciò che gli altri hanno fatto di noi", chissà se Saman si era mai imbattuta in questa frase di Sartre; per certo era quello che stava provando a mettere in atto: una piccola rivoluzione per una grande causa, che è quella di un'intera generazione di giovani donne islamiche pronte a tutto pur di scegliere il loro destino, pur di sollevarsi dalla sottomissione alla quale sono costrette, pur di risvegliare le coscienze delle democrazie vere o presunte nelle quali crescono con nuove speranze, pur di rispondere al gretto dispotismo religioso e familiare che le incatena ad un ruolo che non vogliono più recitare.
Ce l'aveva quasi fatta Saman Abbas, ma quei documenti e quel passaporto non riuscirà mai a recuperarli.
Lo zio, i due cugini, il padre e la madre, unici indagati per la morte di Saman avvenuta tra il 30 aprile e il 1 maggio del 2021, sono stati rinviati a giudizio, il 10 febbraio del 2023 inizierà il processo. La madre è ancora latitante.
L'arresto di Shabbar Abbas, padre della ragazza, del 15 novembre scorso riaccende i riflettori su un delitto che esige una riflessione ancora su di un cambiamento radicale richiesto dalla comunità islamica, in grembo alla comunità islamica stessa, gridato e ancora una volta violentemente messo a tacere.
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