Ti immagino a riposo sui marmi di Trevi, a sciogliere sillabe dentro acque non tue. Di questi tempi sai del male che circola e del fiume che ritorna. Sai del fatto che dal mare si viene e al mare si va. Roma, ti percorro cauta, ti copro i fuochi, li guardo osservante, li tengo per dopo, che serviranno. Bruciamo e non corriamo, almeno non ora. Una punta alla volta, leviamo il respiro, battiamo i chiodi per cornici e ricordi.
Hai notato? La notte lì fuori è tanto più bella sebbene proibita, quanto più inabitata. La si sogna bambina, la si vede scappare.
E pensare che l'unico modo per sopportare il tuo caos è sempre stato abbracciarti, sentirti la pelle, indovinarti il respiro, misurarti le pause, la metrica e i ritmi, le forze in conflitto, berti in un sorso, viverti i viali, stringerti prima di un'altra partenza. Ma sorella, il mondo soffoca, e per darle aria dobbiamo togliercela, sottrarci i sorrisi, intuirne i sapori.
Ogni tanto tu mi chiedi di pregare, così io ti fisso perplessa e ti lascio iniziare.
Dai... Ti ricordi le mani nelle tue piazze? Non dico tanto i visi, ma quelle storie da tessere, quelle dita da articolare, quelle carezze da scorrere. Son certa ti manchino, non lo negare. Soprattutto a tarda notte quando la musica non c'è e te la devi cantare.
Per un po' ti lasceremo credere che tu ci sia riuscita a rinchiuderci qui, tra mura e gelosie. Ma a noi romani il cinismo ci tempra da secoli e il sole ci vizia quando più gli aggrada. Della nostra resilienza ruvida e amara abbiamo fatto un baluardo, una scelta di vita, un irriverente volgare. Allora, ascoltami, quando vai a dormire, Roma, ricordatelo sempre che davvero, davvero tu non ci puoi mai scordare.
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