Sono cresciuta con l'idea che il cielo servisse soprattutto a far volare gli aerei. Nella mia infanzia ci sono ricordi di valigie posate tra i corridoi, nei bagagliai, rotolate sui nastri scorrevoli agli arrivi, riposte come promemoria in cima agli armadi. Le vedo disseminate nei miei lassi di tempo retroattivo a intervalli frequenti e ravvicinati. Per me sono oggetti mistici e spiritualmente familiari, micro mondi dissonanti di verità alternative, di secondarie possibilità. Numeri civici di indirizzi segreti e compresenti a diverse latitudini, canoni di affitti da pagare con anticipo sui passati fusi orari. Ubicazioni incerte, episodi avvolti dal mistero.
Ho ascoltato le storie di Conrad, Melville, Verne e Jack London più di qualsiasi favola. Chiedevo a mio padre di raccontarmi dei suoi viaggi e immaginavo quei posti lontani e straordinari poco prima di dormire, per sognarli meglio.
Per me c'era sempre qualcosa di sensazionale dall'altra parte delle nuvole. Qualcosa per cui valesse la pena diventare adulti.
Il primo volo fu un aereo 'Virgin' per Parigi, anno 1996, sono trascorsi 24 anni. Non molti nella mia percezione di ciò che ha una certa importanza.
All'orizzonte ci sono sempre state ali metalliche per me, appese al soffitto del mondo, che portavano altrove. Ho scelto una casa su un piano alto e vicina all'aeroporto per questo. Per prendere quota insieme alle luci intermittenti dei boing decollati in cerca di stelle e sentire dentro al petto quel momento in cui le ruote del carrello si staccano dalla pista e tutto è saggiamente sospeso, ogni giudizio, ogni giustificazione.
Tutto è sempre stato proiettato verso altre coordinate nel mio immaginario, in quelle digressioni spazio temporali dove fatti e personaggi strabilianti prendono vita, tra parentesi aperte ad altre realtà. Tutto quello che è nel movimento ho sempre amato: ciò che è possibile nel transitorio, nell'inframezzo, nell'atteso.
Sono una figlia della globalizzazione, ne ho ereditato vizi e virtù, folli contraddizioni e ostinata coerenza. In questi mesi mi sono chiesta se mi mancasse di più la normalità nelle mie radici o 'l'anormalità' delle mie diramazioni. Entrambe, credo, entrambe molto.